“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione… Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge” Quando i padri costituenti scrissero l’articolo 97 della Costituzione avevano ben chiara l’idea di una pubblica amministrazione fondata sui principi di legalità, buon andamento e imparzialità. Più semplicemente ritenevano che i pubblici uffici, che amministrano la cosa pubblica che è di tutti, dovessero essere organizzati secondo legge, garantendo un’amministrazione che agisse in modo efficiente e senza favoritismi nell'interesse di tutti i cittadini. L’indipendenza e l’imparzialità dei funzionari avrebbe, secondo l’idea, garantito un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione di parte: nel momento in cui si ponevano le basi per la costruzione di un moderno Stato democratico era forte l’esigenza di difendere i funzionari dalle ingerenze dei partiti e nello, stesso tempo, anche quella di dare concreta attuazione ai principi di uguaglianza e pari dignità sanciti dalla stessa Costituzione. Il perno su cui dovrebbe ruotare il sistema, per dare vita e concretezza ai principi costituzionali, è la separazione tra le competenze degli organi politici da quelle degli organi burocraticoamministrativi: ai primi spettano le funzioni di indirizzo politico, ai secondi le funzioni amministrative, l’adozione di atti e provvedimenti nonché la gestione finanziaria mediante autonomi poteri di spesa e di organizzazione delle risorse umane. L’altro principio previsto in Costituzione, quale immediata applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialità, è quello secondo cui al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso. Nell’elaborazione di questa disposizione, i padri costituenti sono stati ispirati da una massima di esperienza: colui che viene assunto per raccomandazione o per chiamata diretta è portato a ricambiare “il suo benefattore”, mettendosi al suo servizio, anziché “al servizio esclusivo della Nazione”. Nei lavori preparatori si legge a chiare lettere che questa previsione “serve a precisare in forma solenne che non si può entrare a far parte di una pubblica Amministrazione per tramite di favoritismi”. Si tratta quindi di uno strumento che, rispettando il principio di imparzialità, intende dare valore a capacità e meriti, in una condizione di imparzialità tra gli stessi aspiranti: i dipendenti pubblici, che non sono al servizio dei politici, devono essere da questi indipendenti sia nel momento iniziale dell’accesso all’impiego, sia nel corso della carriera. Ecco che il pubblico concorso costituisce la regola per l’accesso all’impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, “da rispettare allo scopo di assicurare la loro imparzialità ed efficienza” poiché, come conferma la Corte Costituzionale, “offre le migliori garanzie di selezione dei più capaci in funzione dell’efficienza della stessa amministrazione”. Ma queste riflessioni sono ormai relegate al mondo teorico della manualistica di settore, utili solo per tracciare i contorni astratti del mondo ideale … perchè la pratica è tutt’altra cosa. Ed ecco che, per la scelta di figure dirigenziali, piovono gli incarichi fiduciari ad personam, i bandi sartoriali che cuciono incarichi su misura, i direttori generali “travestiti” da commissari, qualche concorso con tante ombre, poche luci e beneficiari predefiniti. Sono prassi che continuano ad essere “la prassi”: ciò che altrove viene “attenzionato” dalle procure, negli enti del territorio regionale si compie sotto la luce della benevola impunità. Qualche esempio: recentemente, la Comunità Friuli Orientale e la Comunità Riviera Friulana hanno bandito due selezioni per nominare il Direttore generale, cercando un profilo con curriculum adeguato per assicurare elevate competenze e comprovata esperienza. Quale migliore occasione per mettere in pratica i precetti costituzionale, e soprattutto quel principio di “separazione tra politica e amministrazione”, che ancora più si impone quando la rappresentanza politica è costituita da tanti Sindaci, da tante istanze e da tanti “campanili” e, proprio per questo, è tale da richiedere una figura di equilibrio forte, garante di terzietà ed imparzialità. E invece, ancora una volta, il confine fra politica e amministrazione si fa latente, fino quasi a scomparire creando una nuova entità indivisa. Alla direzione generale della Comunità Riviera Friulana è stato nominato Mattia Munerotto, Assessore del Comune di Caorle. Nessuno discute sulle competenze (anche se qualche dubbio legittimamente sorge, pensando quanta disponibilità di tempo ed energie possa dedicare ad un posto di tale responsabilità chi già ricopre la carica di assessore al turismo, sport, commercio, attività produttive e politiche giovanili del Comune di Caorle), né sulla legittima aspirazione di carriera (che nessuno avrebbe frustrato in un pubblico concorso con prove anonime e oggettive), ma non può sfuggire che, nell’atto di nomina, è scritto a chiare lettere che “a insindacabile giudizio intuitu personae del Presidente (ndr: Sindaco del Comune di Palazzolo), è stato individuato quale persona idonea alla copertura del posto di Direttore Generale il dott. Mattia Munerotto (ndr: Assessore di Caorle)”. Le domande si rincorrono: che senso ha bandire una pubblica selezione (o presunta tale) se poi l’incarico è conferito “a insindacabile giudizio” di un Sindaco, che tra l’altro nomina come Direttore un Assessore? Quali garanzie di imparzialità e terzietà potrà garantire chi, per scelta e vocazione, ricopre in parallelo un ruolo per sua natura “parziale” di rappresentanza politica? E quindi ci chiediamo: esiste ancora il confine tra politica e amministrazione? Nella Comunità Friuli Orientale le cose non sono andate in modo molto diverso. Dopo aver bandito una pubblica selezione (o presunta tale) è stato nominato Alessandro Spinelli, già Assessore del Comune di Tavagnacco con il Sindaco Lirutti e ancora Consigliere di maggioranza con ruoli di rappresentanza. Ed ecco che si ripropongono le stesse considerazioni: un incarico fiduciario conferito intuitu personae da un Presidente (Sindaco del Comune di Cividale) ad un esponente politico del territorio (Comune di Tavagnacco). Ancora domande: chi potrà garantire che le scelte discrezionali amministrative che una figura di tale rilievo è chiamata a compiere non saranno condizionate da visioni di natura politica e condivisioni politicamente orientate? Può bastare un atto formale di nomina per “spogliarsi” quotidianamente delle vesti del politico e vestire quelle del “funzionario terzo imparziale” giusto per il tempo di timbratura del cartellino? E ancora un’ultima domanda: come mai queste nomine si fanno in piena estate, quando il clima afoso e lo spirito vacanziero aiutano a condurre sguardi e pensieri altrove?
